Uno spettacolo sotto forma di monologo dedicato al mondo della scuola, dagli studenti agli insegnanti; un’occasione per riflettere, a partire dalla vicenda esemplare di Don Lorenzo Milani e della scuola popolare di Barbiana, il sempre attuale tema dell’istruzione, specie oggi alla fine – speriamo – della forzata esperienza della didattica a distanza.
Il 27 maggio 1923 veniva alla luce a Firenze Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, per tutti, semplicemente, Don Milani. Intellettuale irrequieto e scomodo (tanto per l’autorità ecclesiastica quanto per il mondo laico), pittore e polemista, fervido sostenitore dell’obiezione di coscienza in opposizione al servizio militare obbligatorio.
Dal 1954 si troverà a condurre tra mille ristrettezze una parrocchia immersa nei monti del Mugello, nel piccolo paese di Barbiana: una sistemazione punitiva per Don Milani, dove maturerà la straordinaria esperienza educativa e pedagogica che confluirà nella scrittura collettiva di Lettera a una professoressa (1967).
Se la figura di Don Lorenzo Milani era già discussa dai suoi contemporanei (da Indro Montanelli e Pier Paolo Pasolini, solo per citarne alcuni), a cento anni dalla nascita il priore di Barbiana continua a porre degli interrogativi: quale deve essere il ruolo della scuola nella società? E quello degli insegnanti? Come tradurre nella quotidianità i grandi ideali pedagogici? Fin dove (e in che modo) è lecito ribellarsi?
Sinossi
Ultimo giorno di scuola in un istituto superiore fiorentino. Suona la campanella d’ingresso. In scena entra un istrionico bidello, Michele Zago, che tra una battuta e l’altra inizia a raccontare in una lingua semplice venata di dialetto la propria esperienza tra i corridoi scolastici. Lo spunto è un aneddoto personale: la prima volta che ha sentito la parola granata, che in Toscana indica la scopa di saggina. Era il novembre 1966 quando, soldato di leva appena diciottenne, viene inviato a spalare il fango dalle strade di Firenze dopo la storica piena dell’Arno. In via Masaccio Michele incontra Gianni, un giovanissimo “Angelo del fango” e studente a Barbiana, che lo introduce in casa Milani: conoscerà così Alice Weiss, madre di Don Lorenzo, e verrà a conoscenza della malattia del priore.
Gli incontri con Gianni saranno sempre più frequenti quando ritroverà casualmente il ragazzo in un istituto superiore fiorentino, dove Michele lavora come bidello: le intemperanze di Gianni saranno l’occasione per approfondire il pensiero di Don Milani. Grazie alla lettura di Lettera a una professoressa, pubblicato da pochissimo, Michele, figlio di una famiglia povera del profondo Veneto, decide di frequentare la scuola popolare di Barbiana e ottenere finalmente la licenza elementare: sarà dunque attraverso la sua esperienza personale che il pubblico conoscerà i metodi pedagogici di Don Milani, portati avanti dai suoi ragazzi (Gianni in testa) e da Adele Corradi dopo la morte del priore nel 1967.
Sempre attraverso i suoi occhi di bidello, testimone privilegiato (spesso oculare) eppure istituzionalmente “di contorno” e mai protagonista, segue un rapido excursus sull’evoluzione della scuola italiana, da quella classista del secondo dopoguerra fino ai giorni nostri passando per le ribellioni del ‘68. Suona di nuovo la campanella: la scuola, anche per quell’anno, è conclusa. Michele Zago saluta studenti, insegnanti e chiude il portone d’ingresso. Ed ecco il colpo di scena finale: una volta solo, Michele dismette gli abiti del bidello e rivela due enormi ali di angelo. Sotto le mentite spoglie di un umile custode si nasconde infatti l’arcangelo Michele in persona, inviato sulla Terra da Don Milani per seguire le vicende degli studenti di Barbiana e di tutti i “Gianni” che negli anni si sono avvicendati tra i banchi.
Ma anche per un potente arcangelo come Michele c’è bisogno di una vacanza: la vita nella scuola italiana è faticosa persino per il comandante delle schiere angeliche.
Note di regia
La sfida di questa messinscena è avvicinare i ragazzi al linguaggio del teatro di narrazione. Troverete una scenografia minimale e pochi significativi oggetti: in particolare, abbiamo scelto di dare corpo a tutti gli elementi cartacei presenti nella storia. Una scelta certo anacronistica, per come oggi il supporto della conoscenza sta diventando sempre più digitale, ma che ci ricorda come il sapere possa essere un’esperienza semplice, concreta e tangibile. Gran parte del racconto è quindi lasciato in mano all’attore: a una parola che si trasforma linguisticamente, passando da un dialetto all’altro, ed emotivamente; all’azione fisica che si articola come strumento ritmico e immaginativo. Co-protagonista l’ambientazione sonora, unico elemento d’innovazione mediale, che dialoga con la scena supportandola nei giochi ritmici, nelle atmosfere e negli apici di coinvolgimento.
Lucia Messina
Drammaturgia
Il testo è stato curato da Simone Dini Gandini. Debutta con I pesci del mare non han numero (Edicolors, 2012), finalista al Premio Cento (FE). Il suo La bicicletta di Bartali (Notes edizioni) è alla XI ristampa. Nel 2018 L’Ibis di Palmira e il merlo ribelle (Notes edizioni) è finalista al Premio Arpino. Le sue opere teatrali vanno in scena sui palcoscenici, tra gli altri, di Torre del Lago (LU), Parma, Milano, Lucca ed è assidua la collaborazione con Fondazione Aida (VR) e Rai5.
Interpretazione
Massimiliano Mastroeni nelle vesti di Michele, lavora ,tra gli altri, con compagnie del territorio (Pantakin, Teatro Bresci, Febo Teatro) e con altre giovani realtà italiane (Oyes, Servomuto Teatro, Epos Teatro e altri).